C’erano una volta i BigData

Facciamo un po’ di storia.

Circa 10 anni fa questo termine ha iniziato a circolare con insistenza online, praticamente ovunque sul WEB, e nel giro di poche settimane sulla bocca di tutti: fornitori di servizi, consulenti più o meno consapevoli, giornalisti e infine clienti.

Chiunque volesse essere trovato, letto o condiviso non poteva fare a meno di abusare di questo termine; il più delle volte però, andando oltre il titolo, si capiva immediatamente che quella parola non veniva utilizzata in modo corretto perché non spiegata in modo esaustivo.

Che cos'è il data driven marketing?

Ma perché tutti volevano e vogliono parlarne?

La risposta è semplice: perché era diventata una buzzword, ovvero una parola che richiama l’attenzione in quanto lascia intendere un forte potenziale, senza tuttavia svelarsi completamente. Questo valore percepito scalda gli animi e attrae il pubblico che quindi inizia a cercare subito informazioni nel mare di Internet, spesso però senza trovare riscontri credibili.

Andiamo più a fondo e proviamo a capire cosa c’è dietro a questo valore percepito; per farlo scomponiamo questo neologismo nelle sue due componenti: BIG e DATA.

La sensazione che danno queste due parole è che vogliano offrire risposte a chi deve gestire una grande mole di dati. Ecco quindi il primo mito da sfatare :)

I BigData è il termine commerciale usato per parlare, di fatto, di analisi dei dati.

Questa disciplina comprende in maniera più ampia tutte le tecniche, i modelli e le tecnologie che rispondono a chi, per qualunque fine, voglia approcciare e trasformare i dati in informazioni, grazie alle quali poter prendere decisioni consapevoli: questo approccio ha senso a prescindere da quale sia il volume dei dati in gioco, che è solo una delle tre variabili importanti.

Le 3 V dei BigData: Volume, Velocità, Varietà

Allargando la visuale dobbiamo prendere in considerazione altre due dimensioni altrettanto importanti: la Velocità e la Varietà.

È evidente infatti che nel mondo del digital marketing i dati in questione non sono solo tanti, in termini di volume, ma sono anche generati con una velocità molto elevata.

Per avere un’idea di questo, basta dare un’occhiata alle statistiche di navigazione del sito WEB aziendale o a quelle di interazione con i profili social media, per esempio. Ogni secondo che passa vengono generati dati sempre nuovi, che si accumulano e rappresentano un grande riserva di numeri che poi vedremo come possono trasformarsi in valore.

L’ultima variabile che ci resta da spiegare è quella della varietà.

Il mondo digitale è pieno di indicatori tecnici che vengono misurati: numero di accessi, sessioni, impressioni, utenti, visite, visualizzazioni, followers, tempi di permanenza, frequenze di rimbalzo, tassi di interazione, click to rate, conversion rate, bounce rate, drop rate, solo per citarne alcuni.

Ognuno di questi indicatori rappresenta un tipo di dato diverso dall’altro e questo porta ad avere un’elevata varietà nei dati che gestiamo. Anche da questa varietà può nascere il valore, se compresa nel modo corretto attraverso modelli adeguati.

Che cos'è il data driven marketing?

Come passare dai dati alle informazioni

Esistono due approcci per passare dai dati alle informazioni:

1) avere già domande e cercare le risposte nei dati

2) cercare le domande per le quali abbiamo già risposte nei dati

Il primo approccio è il più comune ed è anche in linea con il pensiero logico dell’essere umano.

È facile infatti avere domande a cui si cerca una risposta e la sensazione, spesso, è che la risposta si trovi proprio lì davanti a noi, nei dati che abbiamo a disposizione, senza riuscire a coglierla, come se mancasse qualcosa. È esattamente così! Quello che manca è il modello di interpretazione.

A discapito del nome, che può suonare più complesso del dovuto, si tratta di un concetto molto semplice che possiamo spiegare con un esempio.

Prendiamo un bambino che d’ora poi chiameremo Leonardo. Leonardo ha 5 anni e deve ancora imparare a leggere. Se mettiamo Leonardo di fronte a un libro, per lui le parole scritte in quelle pagine non rappresentano informazioni, ma solo dati per i quali non ha alcuna chiave di lettura.

Ma nel momento in cui il piccolo Leonardo inizierà ad associare un suono diverso ad ogni simbolo, avrà un modello di interpretazione con il quale distinguerli.

Distinguere o classificare i dati rappresenta uno dei più elementari modelli d’interpretazione da cui inizia la trasformazione degli stessi in informazioni.

Il passo successivo sarà quello in cui Leonardo inizierà ad associare un’immagine o un significato ad ogni parola, fino ad arrivare a comprendere intere frasi.

Fantastico! Abbiamo già imparato che:

  • un modello di interpretazione ci mostra informazioni là dove vedevamo solo dati
  • i dati non sono cambiati; quello che è cambiato il nostro modo di guardarli!
  • un modello di interpretazione può partire semplice e affinarsi nel tempo

Un modello mette in relazione dati e significati

Il modo più semplice di iniziare a fare analisi dei dati, attraverso questo primo approccio, è quello di provare a correlare due insiemi di dati di tipo diverso nello stesso periodo temporale.

Facciamo un esempio per capire come applicare questo esperimento al digital marketing.

Supponiamo di voler capire quale relazione c’è tra una campagna sponsorizzata sui social media e le vendite di un sito e-commerce. Un modo per farlo è quello di sovrapporre l’andamento delle impressioni di quella campagna con l’andamento delle vendite nello stesso arco di tempo.
Ripetendo questa semplice analisi per tutte le campagne, avrete modo di confrontarle e capire quali hanno performato meglio.

Ovviamente ogni analisi va contestualizzata, nel senso che quasi mai un certo fenomeno (ad esempio le vendite online) è completamente spiegato da uno e un solo argomento.
Tipicamente infatti quello che succede è che il fenomeno di interesse è influenzato in maniera diretta o inversa da un certo numero di argomenti, in maniera più o meno intensa, ed è solo attraverso l’analisi dei dati che è possibile uscire dalle percezioni, approcciandoci in modo più scientifico.

Che cos'è il data driven marketing?

Il secondo approccio richiede una maggiore flessibilità mentale e più abilità di analisi dei dati superiori.

Cercare le domande alle risposte che si hanno già nei dati significa in qualche modo farsi dire dai dati stessi cosa c’è da scoprire. Perché questo possa succedere si applicano tecniche di apprendimento automatico che spesso passano sotto il nome di Machine Learning.

Queste metodologie di analisi dei dati prevedono tre fasi di costruzione dell’analisi:

  1. la preparazione dei dati (anche detta pre-processing) da “dare in pasto” al modello di interpretazione, per istruirlo, affinché lui possa imparare a conoscere i nostri dati
  2. la fase di esecuzione dell’analisi
  3. la fase di verifica che ci consentirà di misurare l’accuratezza del nostro modello di interpretazione

Anche qui un esempio di digital marketing aiuterà la comprensione.

Immaginate di voler capire se un vostro cliente sta per abbandonarvi, per passare alla concorrenza o per altri motivi. Se ci si ferma solo alla percezione sembra quasi impossibile poter spiegare una scelta così personale guardando a dei semplici dati, vero?

Tuttavia i dati possono dirci ad esempio:

  • quante volte il cliente ci ha contattati per email nell’ultimo anno
  • quante volte il cliente ci ha contattati per telefono nell’ultimo anno
  • quante volte ci chiamava per segnalarci dei problemi
  • quante volte abbiamo trovato una soluzione per tali problemi
  • quante volte la soluzione è arrivata in 1 giorno
  • quante fatture non ha saldato entro i termini convenuti
  • ecc…

Un modello di interpretazione dei dati basato sulla tecnica del Machine Learning può scovare nei dati delle correlazioni deboli fra tutti o alcuni di questi indicatori che non sarebbero affatto evidenti a un occhio umano. Potendo fornire al nostro modello un primo dataset con cui auto istruirsi, lui potrà imparare a riconoscere i clienti che decidono di abbandonarci da quelli che invece restano.

A questo punto, una volta pronti, potremo somministrare al modello un nuovo dataset di clienti per i quali vogliamo scoprire la propensione all’abbandono.

Dopo aver eseguito l’analisi, il modello ci restituirà in pochi secondi una misura della probabilità di abbandono, che sarà maggiore nei clienti che presentano un profilo molto simile a quello di altri clienti che in passato ci avevano effettivamente abbandonato; questa probabilità sarà chiaramente più bassa per i clienti che, a parità di valori sugli indicatori sopra elencati, avevano invece deciso di restare con noi e non passare alla concorrenza.

È evidente come avendo a propria disposizione questa informazione sarà nettamente più efficace l’azione di marketing che verrà messa in campo per trattenere quei clienti, perché potrà concentrare l’investimento solo sui clienti più propensi all’abbandono, evitando di sprecare risorse preziose per i clienti che invece non avrebbero abbandonato!

Gli strumenti sono importanti?

Esistono molti strumenti di analisi dei dati che possono supportare una strategia di marketing che voglia definirsi data-driven, ovvero guidata dai dati.

Quello che è importante considerare nella scelta di tali strumenti è la loro capacità di accogliere dati da diverse sorgenti. Infatti, maggiori sono le fonti di dati dai quali è possibile raccoglierne e più ricche di nuovi spunti saranno le correlazioni fra i dati a cui si potrà ambire.

Un secondo elemento cruciale nella scelta degli strumenti è il livello di chiarezza con la quale i risultati delle analisi vengono rappresentati. A favore di una più efficace divulgazione è sempre meglio preferire strumenti che offrono un estremo livello di chiarezza nella rappresentazione visuale delle informazioni che si devono condividere a diversi livelli.

Tipicamente questi strumenti abbinano una spiccata capacità di visualizzazione con un elevato grado di interattività che favorisce ulteriormente la comprensione dei fenomeni studiati.

 

La maggior parte di questi strumenti appartiene alla famiglia dei prodotti di Business Intelligence alla quale afferiscono strumenti di mercato, ma anche prodotti open.

Quindi la risposta è sì: gli strumenti contano, ma più di essi conta aver compreso che questi strumenti sono preziosi solo nelle mani di persone formate e capaci di utilizzarli nel modo corretto, avendo nel proprio bagaglio culturale le basi di statistica necessarie per impostare le analisi e dare la giusta interpretazione di eventuali risultati inattesi.

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