Da un’ultima indagine sul tempo libero nell’era del Coronavirus, condotta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr), è emerso che il 56% della popolazione italiana trascorre almeno 3h al giorno sui social media.
Nello specifico è circa raddoppiato il tempo che gli italiani trascorrono sui social e più in generale è diventato sempre più massiccio e inevitabile l’uso del digitale.
Questo dato è sì condizionato da tutte quelle persone e aziende (come noi in OTO Agency) che stanno operando solo ed esclusivamente da remoto, ma in generale è una fotografia di quella che è una condizione necessaria di informazione e comunicazione diffusa su tutto il territorio nazionale.
In questa generale immersione digitale sono quindi tornate ancor più d’attualità tematiche calde legate al digitale: l’alfabetizzazione digitale, la copertura di rete di aree interne meno accessibili, la velocità di connessione ecc… Ma quello in cui vorrei accompagnarti con questo articolo è un’analisi e una riflessione su come il mondo delle aziende e delle agenzie stanno affrontando a livello strategico e soprattutto comunicativo questa situazione d’emergenza.
Che responsabilità abbiamo noi professionisti della comunicazione in questo momento? Qual è la missione che dobbiamo porci per comunicare al meglio un brand? Con quale tono di voce?
Partiamo dal perché
Prima di tutto consideriamo il contesto.
Il dato di inizio articolo, secondo cui più della metà degli italiani trascorre almeno 3 ore al giorno sui social, è sì una condizione necessaria legata al lockdown e quindi causata da una situazione di imposizione, ma se guardassimo un po’ più emotivamente a questi numeri, potremmo anche capire che sono dettati da necessità e bisogni innati della natura umana.
Soprattutto in momenti di isolamento e in contesti di diffusa negatività, abbiamo un disperato bisogno di interazione, distrazione e intrattenimento. Inoltre sentiamo sempre più il desiderio di stringerci e far parte di una comunità con i medesimi problemi, bisogni e sogni.
Gli obiettivi di comunicazione delle aziende in questo preciso momento devono necessariamente ricollocarsi ed essere riscritti: questo non può più essere esclusivamente il momento di trovare particolari benefici o vantaggi nell’acquisto di prodotti o servizi.
È il momento di (ri)tirare fuori i valori fondanti alla base delle aziende e di comunicarli e adattarli a questa situazione tempestosa.
Sì, ma come?
Vorrei un attimo ritornare al titolo: “Il brand ai tempi del Coronavirus”.
Mi piace a proposito riprendere in mano uno dei libri che ho recentemente letto “The brand Gap” di Marty Neumeier in cui la definizione di brand data dall’autore è la seguente:
“A brand is a person’s gut feeling about a product, service, or company”, e cioè “un brand è un sentimento profondo che una persona ha verso un prodotto, servizio o un’azienda”.
Di conseguenza, durante un momento come il Coronavirus, le aziende devono essere in grado di dare una risposta alla seguente domanda: “cosa dovremmo fare e come dovremmo comunicare per instaurare quel sentimento profondo di legame con le persone?”
“La creatività scaturisce dalla tensione tra spontaneità e limiti” (Rollo May).
Eh già. A livello creativo è nelle difficoltà e nei limiti che la componente irrazionale del nostro cervello è più stimolata. E diverse aziende l’hanno già ampiamente dimostrato a livello espressivo, artistico ed esperienziale.
Loghi che raccontano
Hai già letto l’articolo che ho scritto un mesetto fa su “Come valutare un logo?”?
Ecco, ti raccontavo di quanto importante sia un logo nell’identificazione di un brand e dei suoi determinati valori.
Attraverso la rivisitazione di elementi visivi caratterizzanti e riconoscibili, alcuni brand hanno deciso di adattare i loro loghi alla situazione di lockdown mondiale per stimolare comportamenti responsabili.
McDonald’s Brasile ha ad esempio spezzato la storica “M” del logo per promuovere la distanza di sicurezza.
Così ha fatto Coca Cola, brand che storicamente promuove il valore della convivialità e dello stare insieme, che a Times Square ha distanziato tutte le lettere dell’iconico e memorabile logotipo.
Anche Audi ha postato su Instagram una versione rivisitata del suo logo con i cerchi che non si intersecano.
Il valore delle esperienze
Dicevo in precedenza che l’incremento di utilizzo e di tempo speso sui social sia anche un sintomo di quanto bisogno abbiamo di interazione e di senso di comunità.
Sono tantissimi gli esempi di aziende che stanno promuovendo azioni responsabili legate a una dimensione domestica delle esperienze.
Per citarne solo alcune, Decathlon ad esempio sta promuovendo sessioni di allenamento a casa attraverso tutorial e contenuti generati direttamente dagli utenti a cui si chiede di condividere i propri allenamenti domestici.
Anche nel settore food sono innumerevoli le iniziative di aziende che promuovono nuove esperienze e momenti familiari. Barilla, ad esempio, attraverso l’hashtag #ACasaConBarilla e i tutorial degli Chef di Accademia Barilla condivide con gli utenti nuovi spunti di ricette.
Ci sono anche casi in cui la tecnologia incontrando la dimensione costrittiva dello stare a casa ti porta a vivere delle esperienze virtuali autentiche. Prendiamo come esempio il caso Honda che, con il progetto Honda Collection Hall, mette a disposizione degli utenti un’esperienza completamente immersiva: un tour virtuale a 360° nel museo dell’azienda giapponese per raccontarne la storia.
Essere se stessi per fare del bene
Per concludere questo articolo ritorno sulla definizione che ho citato all’inizio: “un brand è un sentimento profondo che una persona ha verso un prodotto, servizio o un’azienda”.
Ecco, forse il rapporto tra brand e persone durante un periodo tempestoso come questo si dovrebbe nidificare e si dovrebbe analizzare nella sua più naturale caratteristica umana: l’emozione.
Sembra paradossale dirlo ma c’è una grande opportunità che, da un punto di vista del marketing e del branding, momenti così terribili possono offrire alle aziende.
L’opportunità è quella di riscoprire i propri valori e comunicarli per fare del bene.
Un brand che, come abbiamo visto attraverso diverse modalità (il restyling di un logo, un adv che ci faccia sentire parte di una comunità, dei contenuti generati da video tutorial o da social contest), innesca attività solidali a favore di qualcosa o qualcuno, è un brand che butta giù un muro, si umanizza e riscrive il rapporto di mercato tra il consumatore e il brand stesso.
In un momento in cui c’è un disperato bisogno di comunità e di senso comune, l’opportunità che ogni brand dovrebbe essere in grado di cogliere è l’attivismo sociale.
Il sentire comune in un momento di questo tipo è la solidarietà, la partecipazione, l’empatia.
Ecco allora che se ritroviamo i nostri valori nei valori di un brand, questi diventano aderenti in maniera quasi inscindibile con i nostri e difficilmente ignoreremo quel brand.
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